Ascoltare davvero
In un mondo sempre più veloce, rumoroso e frammentato, uno degli atti più rivoluzionari che possiamo compiere è fermarsi ad ascoltare. Non solo sentire le parole che qualcuno pronuncia, ma restare presenti, impegnati, accogliere l’altro con rispetto. Eppure – forse – questa competenza sta diventando rara, la stiamo progressivamente perdendo. In un tempo in cui tutti parlano, pochi sanno davvero ascoltare.
Cos’è l’ascolto “vero”?
L’ascolto attivo – o empatico – è qualcosa di più dell’udire. Significa:
prestare attenzione intenzionalmente, senza distrarsi.
accogliere anche ciò che non viene detto, ciò che l’interlocutore vive, prova o teme.
sospendere (almeno temporaneamente) il proprio giudizio, la propria voglia di replicare o spiegare.
cogliere il non verbale (gesti, silenzi, posture), perché comunica quanto le parole.
In sintesi: ascoltare davvero vuol dire mettere il proprio cuore, mente e corpo al servizio della relazione, non solo i propri orecchi.
Perché stiamo perdendo questa competenza?
Velocità e distrazione: le comunicazioni digitali, le notifiche continue, le interruzioni frequenti rendono difficile essere presenti. In ambito lavorativo, ad esempio, si parla di ascolto “passivo” o superficiale quando l’attenzione è frammentata.
Cultura del parlare e dell’apparire: spesso siamo più preoccupati di essere ascoltati che di ascoltare. Parliamo, commentiamo, postiamo, ma ci concediamo poco tempo per stare in silenzio o dare spazio all’altro.
Barriere interne: preoccupazioni personali, emozioni non gestite, pregiudizi, idee preconfezionate — tutte cose che ostacolano la capacità di accogliere l’altro.
Mancanza di allenamento: l’ascolto è una competenza che va coltivata, non si improvvisa. Molte relazioni – familiari, scolastiche, comunitarie – non prevedono spazi reali in cui diventare “bravi” ad ascoltare.
Quali sono i benefici di ascoltare davvero?
Quando l’ascolto viene praticato in modo autentico:
Migliorano le relazioni personali e professionali: chi si sente ascoltato si apre di più, si fida di più, comunica meglio.
Si riducono i conflitti e le incomprensioni: l’ascolto attivo aiuta a cogliere ciò che sta dietro le parole e può prevenire escalation emotive.
Si crea un clima di maggiore fiducia e inclusione: far sentire qualcuno “visto” e “sentito” è già di per sé un atto di cura.
Si sviluppano empatia e comprensione reciproca: ascoltare davvero significa “mettersi nei panni dell’altro” e questo è un antidoto alla solitudine.
Qualche ostacolo concreto e come superarli
Ostacolo 1: la mente è già altrove
Spesso mentre “ascoltiamo”, stiamo pensando a cosa diremo noi dopo. Oppure siamo distratti dal telefono, dalle notifiche, da mille pensieri.
Strategia: scegli un momento in cui spegni le distrazioni, poni un intento (“oggi ascolto senza replicare”), e prova a praticare l’ascolto in piccoli spazi (una chiacchierata, un pranzo).
Ostacolo 2: la paura del silenzio
Silenzio non è attesa dallo sguardo o imbarazzo: può essere invece uno spazio di accoglienza. Ma in tanti lo evitiamo.
Strategia: dopo che l’altro ha parlato, concedi 2-3 secondi di pausa prima di rispondere. Guarda i gesti, le espressioni, non solo le parole.
Ostacolo 3: il giudizio (o la fretta di dare una soluzione)
Spesso ascoltiamo per cercare una risposta, una piccola diagnosi, un “ti do consiglio”. Ma l’altro non sempre ha bisogno che tu per forza gli dica “cosa fare”. Vuole sentirsi accolto, anche in assenza di una soluzione immediata.
Strategia: prova a usare frasi come “Mi sembra che tu senta …”, “Ho capito che per te è importante …”, prima di offrire un parere. Favorisci la riformulazione.
Perché è importante per Cadash e per la comunità
Nel lavoro di volontariato, educazione, comunità – che sono al centro del fare della Cadash – l’ascolto vero è un fondamento.
Quando accogli un giovane, una persona con disabilità, o un anziano, l’ascolto non è solo “sentire il problema”, è “entrare nella vita dell’altro”.
Una comunità che sa ascoltare è una comunità che sa cogliere bisogni reali, che costruisce relazioni stabili, che trasforma la fragilità in opportunità.
Praticare l’ascolto vuol dire anche offrire uno spazio dove chi dà volontariato “dà” ma anche “riceve”: perché ascoltare è già un dono.
5 Piccoli passi per allenare l’ascolto vero
Quando conversi, spegni o metti da parte lo smartphone. Metti in pausa ciò che riguarda te.
Fai una domanda aperta: “E tu, come lo vivi questo momento?” e lascia che l’altro risponda senza interruzioni.
Ripeti con parole tue quanto hai capito (“Se ho capito bene…”), per dare conferma all’altro e a te stesso.
Osserva anche il linguaggio non verbale: silenzi, gesti, tono di voce.
Chiediti: “Cosa mi trattiene dal restare qui, ad ascoltare fino in fondo?” e cerca di lasciare andare quel che distrae.
Ascoltare davvero non è un atto passivo. È una competenza attiva, una forma di presenza che trasforma le relazioni, le comunità, le vite. In un tempo in cui tutto si muove velocemente e tutti parlano, scegliere di restare in silenzio, di mettere da parte il telefonino, di guardare l’altro, di mettersi in ascolto – è un piccolo grande gesto di umanità.
E se la Cadash può contribuire a diffondere questa cultura dell’ascolto, sta contribuendo a costruire un mondo più umano, più vero, più solidale.
C’è un luogo in cui l’ascolto prende una forma concreta e quotidiana: i mezzi di trasporto sociale di Cadash.
Ogni giorno, i volontari accompagnano anziani e persone con disabilità verso visite, verso i centri diurni o, viceversa, nel rientro dai centri alle proprie abitazioni.
Tra una partenza e un arrivo, si crea uno spazio speciale — un piccolo tempo sospeso in cui non serve fare molto, basta esserci.
Durante quei tragitti nascono conversazioni che contano: un ricordo condiviso, una parola di incoraggiamento, un silenzio rispettato.
Ascoltare in movimento significa dare valore al tempo dell’altro, trasformando un servizio necessario in un gesto profondamente umano.
È lì, nei percorsi brevi ma intensi delle giornate di Cadash, che l’ascolto smette di essere teoria e diventa relazione viva, capace di restituire dignità e fiducia a chi, ogni giorno, chiede solo di essere accolto.
